Negli ultimi giorni, Zelda Williams – figlia del leggendario attore Robin Williams – ha denunciato pubblicamente l’uso di intelligenza artificiale per ricreare la voce e il volto del padre, definendolo “disgustoso e disumano”.
E ha ragione.
Perché dietro la commozione, la nostalgia e la curiosità tecnologica, si nasconde un problema che presto potrebbe riguardare ognuno di noi.
Il digital twinning – la creazione di copie digitali di persone reali, spesso defunte – è una delle frontiere più ambigue dell’intelligenza artificiale generativa. Non parliamo solo di deepfake di attori famosi.
Parliamo di profili fantasma: milioni di repliche digitali, realistiche e conversazionali, generate con IA addestrate su foto, video, voci o testi di persone normali che sono decedute.
Oggi questi cloni vengono utilizzati senza consenso, a volte per scopi di lucro, altre per curiosità morbosa, altre ancora per esperimenti “emotivi” di dubbia etica, come il trend delle vittime che raccontano i propri omicidi, e perfino la pedopornografia su profili di minori non più tra noi.
Dietro la pratica innovativa del digital twin, del gemello digitale, si nascondono impatti devastanti, se non tutelati dalle leggi sulla privacy e sulla data protection degli individui:
Violazione dell’identità postuma: chi stabilisce se un defunto può essere “replicato”? E chi ne detiene i diritti digitali, una volta che questa azione viene compiuta da un'azienda e il digital twin viene inserito in un database? L'eredità digitale resta sempre e comunque degli eredi, per il diritto europeo.
Deepfake e crimini digitali: immagini o voci dei defunti vengono già usate in pornografia non consensuale, truffe deepfake, pedopornografia e storytelling criminale.
Manipolazione emotiva: esistono “servizi” che permettono a un genitore di parlare con la propria figlia scomparsa — tramite chatbot AI. Questo pone numerosi interrogativi su come si vivrà in futuro l'elaborazione del lutto con l'esistenza di questi strumenti.
Reputazione aziendale a rischio: pensate se domani comparisse un AI agent con il volto del vostro ex CEO — creato da terzi — che “parla a nome” dell’azienda. Oppure che intrattiene videochiamate con i competitor, svelando segreti aziendali.
Non è fantascienza. Sta accadendo adesso.
Così come tocca ai personaggi pubblici come Robin Williams, succede anche ai key manager, ai brand ambassador, agli influencer e politici. Ma capita, sempre più spesso, anche a tua zia Maria, di cui esiste un’intera gallery su Instagram pronta per essere convertita in un AI agent da qualche piattaforma “creativa”.
Il paradosso è che la tecnologia che oggi ci aiuta a preservare la memoria digitale, domani potrebbe distruggere il concetto stesso di Identità e Dignità postuma.
Non possiamo più parlare di “sperimentazione etica” o di “zona grigia”.
Serve una presa di posizione netta:
Le aziende tech devono implementare sistemi di watermark, tracciabilità e consenso digitale post-mortem.
I policy maker devono riconoscere il diritto alla “morte digitale” e alla protezione dell’identità dopo la vita.
I brand e le imprese devono definire policy interne sull’uso dell’IA per rappresentare ex collaboratori, testimonial o fondatori.
E noi, utenti e cittadini, dobbiamo smettere di applaudire ogni “resurrezione virtuale” come se fosse un miracolo tecnologico, e occuparci della storia e della memoria dei noi cari che non ci sono più, e di noi stessi per il futuro.
👉 E se fosse tuo padre? Tua madre? Tuo figlio? Quanto ti farebbe incaxxare sapere che un algoritmo li ha riportati in vita per intrattenere gli altri?
L’etica dell’intelligenza artificiale non è un dibattito da convegno: è un’urgenza culturale, umana e civile.
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